Intervista a Stefano Zamagni in occasione delle Giornate di Bertinoro in programma il 14 e 15 ottobre
"Se non ci fosse stata la crisi non ci sarebbe stato discorso. Ma con la crisi il Terzo Settore deve fare la vera scommessa su se stesso". Stefano Zamagni, da sempre il grande ispiratore delle Giornate di Bertinoro, assegna una grande importanza all’edizione di quest’anno. Che arriva in un momento molto complicato, in cui la paura può suggerire quasi un arretramento.
Ma con il piglio sempre giovanile che lo contraddistingue, Zamagni ribalta la lettura della situazione e vi coglie una grande opportunità.
«Il Terzo Settore deve diventare fund raiser di se stesso. Cercare le risorse dove in realtà ci sono, quindi nella business community. Una ricerca recentissima ha dimostrato che il 70% degli imprenditori ritiene strategico puntare sul welfare aziendale nei prossimi anni. Il terzo settore deve lavorare per favorire l’emersione di questa tendenza».
Che relazione c’è tra questo che lei sottolinea e il tema di Bertinoro 2011?
Abbiamo scelto di puntare sul tema delle disuguaglianze in relazione al federalismo fiscale. La questione delle disuguglianze dei territori oggi è una questione cruciale anche per il Terzo Settore. Se prendiamo in esame le differenze Nord-Sud possiamo vedere che dopo un riavvicinamento avvenuto negli anni 60/70 a partire dagli anni 80 la forbice abbia ripreso ad allargarsi. Il fattore grave di questo fenomeno sta nella sua causa, che non è principalmente economica ma di progressiva erosione del capitale istituzionale.
E il terzo settore che cosa può fare?
Sino ad oggi il suo impegno è andato tutto nella direzione della costruzione del capitale sociale. Ma oggi il rischio vero è che questo lavoro vada in rotta di collisione perché si trova davanti un livello istituzionale sempre più inadeguato. È come un cerchio che si è rotto, dove nessuna azione sussidiaria si rende in realtà praticabile. Per questo il Terzo Settore deve fare un salto accettando questa responsabilità, cioè quella della ricostruzione di un capitale istituzionale affidabile.
Qual è il nesso tra il tema che ha appena illustrato e il federalismo?
Questa è la sfida chiave del federalismo. Perché mentre a Nord il livello istituzionale tiene, a Sud siamo in una situazione drammatica. Viene così pregiudicata qualsiasi dinamica sussidiaria, soprattutto nella prospettiva di quella sussidiarietà circolare in cui i tre soggetti - pubblica amministrazione, privato sociale e imprese - integrano la loro azione non solo al livello della gestione ma anche in quella della progettazione.
La Regione Lombardia, con una delibera del gennaio di quest’anno, ha preso la sussidiarietà circolare come riferimento. Un fatto molto significativo, che però pone ancor più in evidenza quale sia la vera forbice che si sta aprendo tra Nord e Sud.
In cosa il Terzo Settore oggi non è adeguato a questa sfida?
Innanzitutto sulla questione della rappresentanza, che deve avere un’adeguata capacità di progettazione e poi deve saper leggere i desideri dei rappresentati. Poi deve uscire dalla logica degli interventi troppo settorializzati. E superare la logica del “chiedere”.
Ma del Terzo Settore si potrebbe paradossalmente fare a meno?
Io dico di no, per almeno tre motivi. Primo, perché possiede le informazioni sui bisogni, come nessun ente pubblico. Secondo, perché grazie alla sua capacità relazionale conosce meglio i metodi di soluzione. Terzo, perché è in grado di valutare i servizi. Infatti l’efficacia vera la stabilisce l’utente, non l’erogatore.
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