di Riccardo Bonacina
Welfare State addio (e questo era ovvio), ma addio anche alla Big society e a ogni chiacchiera sulla sussidiarietà e sui libri bianchi e verdi sul futuro del welfare. È questo l’assurdo doppio passo del Governo Berlusconi-Tremonti-Sacconi. E si tratta di un doppio passo che prelude ogni tipo d’inciampo.
Ciò che restava del Welfare State è stato smantellato dal 2008 al 2011: i dieci principali ambiti di investimento sociale hanno avuto tagli complessivi pari al 78,7%, passando da 2.527 milioni stanziati nel 2008 ai 538 milioni della legge di stabilità 2011.
Il Fondo per le politiche sociali, per esempio, è passato dai 584 milioni del 2009 ai 435 del 2010 e arriverà nel 2013 ad appena 44 milioni.
Il Fondo per la famiglia è passato dai 346,5 milioni del 2008 ai 52,5 milioni attuali (il taglio è del 71,3%).
Il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, finanziato nel 2007 con 100 milioni, è semplicemente sparito. Sparito anche il “Fondo per la non autosufficienza”.
Dei politici non dico liberali, ma almeno intelligenti e lungimiranti a fronte delle ristrettezze dei fondi statali avrebbe agito liberando le energie della società che in questo Paese sono ancora vive: secondo l’Istat nel 1999 le istituzioni non profit in Italia erano 221.412, impiegavano più di 4 milioni di persone (di cui 3 milioni e 200 mila volontari) e restituivano servizi (di assistenza, di cura alla persona, all’ambiente e ai beni culturali) a più di 20 milioni di cittadini italiani.
Un Governo liberale e intelligente avrebbe dato certezze alle organizzazioni della società civile rendendo stabile una norma come il 5 per mille (sussidiarietà fiscale promessa nel lontano 2005), avrebbe incoraggiato le donazioni e il dialogo tra le strutture di welfare comunitario, quelle della ricerca non profit, dello sport di base e i cittadini stessi.
Invece no, nonostante il gran parlare di sussidiarietà, il Governo nell’ultimo anno rimangiandosi ogni promessa e smentendo le sue stesse idee, sta togliendo ossigeno ed energie al settore non profit come non era mai successo prima.
Il “bagno di sangue” è iniziato poco più di un anno fa, con un decreto che ha sospeso le tariffe postali agevolate, strategiche sia per la comunicazione istituzionale di piccoli e grandi enti sia per le campagne di raccolta fondi e per la loro rendicontazione. In 24 ore, il costo di spedizione di una pubblicazione è aumentato del 500%, passando dallo 0,064 allo 0,28. Una spesa insostenibile, più costosa di quella vigente per gli editori profit di 0,10 euro. Dal fatidico aumento, la Fondazione Telethon, per esempio, ha avuto una perdita complessiva di oltre 670mila euro, di cui 436mila per maggiori costi e 234mila per mancata raccolta dovuta al taglio delle spedizioni.
Poco più di sei mesi fa, poi, come ogni anno, è stato rimesso in discussione il 5 per mille alla cui copertura mancano ancora 100 milioni di euro (se San Gennaro non interverrà il 5 per mille si ridurrà a uno 3,75 per mille senza dichiararlo ai cittadini).
Ora arrivano i tagli lineari alle agevolazioni fiscali, deduzioni e detrazioni, previsti nella manovra finanziaria da poco approvata che colpisce, oltre alle famiglie, alle persone con disabilità anche il mondo del non profit, in modo diretto o penalizzando i donatori.
L’esempio più interessante è quello della “+Dai -Versi”, la norma che dal 2005 consente, finalmente anche nel nostro Paese, la deduzione delle erogazioni liberali in denaro e in natura a favore degli enti del terzo settore sino a un tetto massimo di 70 mila euro. Si scopre che, a regime, l’agevolazione è utilizzata da quasi 600mila tra persone e aziende, e che attualmente rappresenta uno degli sconti fiscali più usati, secondo soltanto alla detrazione a favore di onlus e di altri enti che svolgono attività umanitarie, che coinvolge quasi un milione di contribuenti.
Milioni di persone e di contribuenti che avranno una ragione in più per tagliare chi ci sta governando, come recita la copertina di “Vita” di questa settimana.