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lunedì 2 gennaio 2012

Caccia F-35. Nessuna penale se l'Italia si ritira

La scoperta di "Altreconomia". Cade la principale obiezione alla sospensione del progetto


La spesa per i 130 cacciabombardieri da 133 milioni l’uno non è stata messa in discussione, nonostante una campagna di tre anni che ne ha rivelato i difetti.
Quello dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35 è il programma militare più costoso della storia, guidato dagli Stati Uniti in compartecipazione con altri 8 Paesi, tra cui l’Italia: dovremmo iniziare ad acquistare aerei nel 2012 (4 esemplari) per finire nel 2023 (10 esemplari con picco di 13 aerei tra il 2016 e il 2018). Si tratta, per noi italiani, di almeno 15 miliardi di euro, che sarebbero potuti andare più utilmente al welfare. Rinunciare alla spesa e pagere le penali costerebbe ancora più di quel che si rispariemerebbe, era il mantra dei "benaltristi". Invece si è scoperto che sugli F-35 non è prevista nessuna penale in caso di ritiro dal programma.

La scoperta è stata fatta da Altreconomia che in un'inchiesta firmata da Francesco Vignarca sul numero in uscita dimostra come dai documenti si evince che l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione (il totale degli oneri già determinati a carico del contribuente italiano per il programma F-35 ammonta a 2,7 miliardi di euro).

Lo prevede l’accordo fra i Paesi compartecipanti sottoscritto anche dall’Italia il 7 febbraio del 2007: l’ultimo aggiornamento ufficiale del “Memorandum of understanding” di fine 2009 sarà scaricabile dal sito altreconomia.it. Secondo i documenti la cifra massima che l’Italia potrebbe pagare oggi, ritirandosi dal progetto, sarebbe di 904 milioni di euro. Niente di più, in caso di ritiro prima di un qualsiasi contratto di acquisto dei velivoli. Il Governo italiano potrebbe quindi decidere senza penali di non procedere all'acquisto dei 131 caccia ipotizzati.

Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione mentre lo stesso Pentagono ha espresso forte preoccupazione per i problemi tecnici, i ritardi e costi crescenti a dismisura di un progetto che avrebbe dovuto essere già a pieno regime.

È stato l’attuale ministro della Difesa Di Paola (allora Segretario generale per la Difesa e gli Armamenti) a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, il primo accordo da un miliardo di euro per la partecipazione italiana al programma nella sua fase iniziale SDD.

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